La linea pedagogica enunciata nella prima parte di questo articolo ha delineato ciò che bisogna seguire. Qui cercheremo di capire quali sono gli strumenti per farlo, ovvero le azioni fondanti per dare ai ragazzi gli strumenti per affrontare la vita (se lo vogliono). Il lavoro nelle comunità educative come già detto, chiede una capacità importante, ovvero la capacità di essere disponibili a far fare esperienza. Questa disponibilità si può definire come apertura a cogliere quello che veramente c'è e non una chiusura che dice ciò che ci dovrebbe essere.
Si insegna, ad esempio, relazioni diverse da quelle precedenti, privileggiando gli aspetti positivi e il calore umano dello stare insieme e questo significa che nel mondo c'è del buono, indipendentemente che questo buono il ragazzo sia in grado di coglierlo. Questa modalità nel vedere il mondo spesso viene fraintesa dai ragazzi scambiandola per una possibilità di fare quello che si vuole. Questo però è un rischio che bisogna correre in quanto ci permette di comprendere molte cose del ragazzo stesso, soprattutto la sua capacità di adattarsi a quanto richiesto nel quotidiano dal contesto sociale.
Il ragazzo che comprende questa disponibilità e riesce a starci senza distruggere, sarà colui che riuscirà ad avere una vita abbastanza buona perché ha dei confini e dei limiti. Per gli altri purtroppo ci saranno altri servizi educativi la riabilitazione psicologica con la cura farmacologica in quanto queste persone, anche in età adulta, non riescono a sviluppare un processo di autonomia, poiché le ferite sono state troppo profonde.
Solo dopo aver corso il rischio di aver donato questa disponibilità e non una imposizione di regole possiamo parlare di educazione. La disponibilità e l'accoglienza non devono essere confuse con una semplice azione melensa e di buonismo; la disponibilità costruttiva contiene da una parte l'apertura e dall'altra un comportamento autorevole dell'adulto poiché solo se presenti entrambe si riuscirà in un intervento educativo adeguato. Il ragazzo infatti se sente solo la disponibilità manipolerà l'educatore per arrivare ai suoi fini spesso grotteschi e privi di coscienza, pieni di pulsioni negative, di scarsissimo rispetto per l'altro; se sente solo l'autorità non sentirà l'amore e l'accoglienza ma percepirà solo un ammasso di regole senza senso a cui è costretto a sottostare senza calore umano. Questi ragazzi sono in balia di stati emotivi e disperazione legati al loro difficile passato e per questo non possono essere paragonati ai coetanei che hanno avuto un contesto famigliare nella norma, ovvero ragazzi che hanno dei limiti e dei confini, che sanno cosa è loro possibile fare e cosa no. Per questo come dicevo nell'articolo precedente non è possibile far fronte alla disperazione con dei principi che posso essere adeguati per chi vive in condizioni migliori. Spesso i ragazzi che vivono in condizioni precarie hanno, o meglio non hanno, confini e limiti; sono in balia di forze distruttive (comprensibili) e pensano di poter distruggere tutto.
E allora come si può far fronte a tali situazioni ?
È necessario che l'educatore possegga una forma di autorità interna e di capacità relazionali che vengano percepite dal ragazzo come una guida a cui affidarsi facendolo ragionare sul fatto che non è il minore a “comandare” su questioni importanti, come ad esempio decidere se stare o no in quella comunità dove gli si offre un benessere economico ed affattivo maggiore rispetto alla famiglia d'origine e delle relazioni più equilibrate. Il compito dell'adulto è anche quello di educare non solo sull'agire ma anche sulle questioni umane per costruire un rapporto basato sulla fiducia e non sullo scontro di forze oppositive. Un clima ospitante e accogliente crea le condizioni favorevoli per dare la possibilità al ragazzo di crescere e assaporare una situazione positiva e costruttiva che lo aiuterà ad agire in modo progettuale per sé e per la sua vita. L'autorevolezza si concretizza in un atteggiamento costruttivo verso la vita in generale e permette il rispetto di se stesso e degli altri e lo stare in quel contesto della comunità messo a disposizione per i ragazzi.
C'è un'altra importante capacità richiesta all'educatrice e all'educatore è quella di essere autentico ovvero di rimanere fedele, attraverso una ferma consapevolezza di chi si è a se stesso. Questo è un aspetto molto importante in quanto l'adolescente sa distinguere la verità dalla finzione e spesso vedendo persone che recitanoimpara a sua volta a recitare. Se non vede nella guida un modello con tutte le caratteristiche dette sceglierà la via più facile e meno impegnativa quello della recita. Ed è proprio nel periodo dell'adolescenza che si decide se nel proseguo della vita a prender forma sarà una sterile recita distruttiva oppure il tentativo di un cammino aderente a se stesso, con la forza costruttiva che occorre. L'obiettivo principale dell'obiettivo educativo diventa quindi il fare incuriosire di se stessi i ragazzi. La vera ricerca di senso per un adolescente non sta solo nel dare un senso alle proprie azioni, bensì capire fino in fondo chi si è e chi si vorebbe essere. Per questi motivi il lavoro di cura è un lavoro molto delicato, che necessita di una formazione adeguata e di un continuo aggiornamento durante il pecorso lavorativo. Utile è quindi il confronto con uno specialista, una terapeuta che evidenzi le modalità relazionali disfunzionali in cui siamo incappati e che ci possa far vedere altre possibilità in noi e ancora sconosciute. Il lavoro educativo richiede infatti a priori una riflessione su di sé perché solamente una persona già risolta può prendersi cura della vita degli altri.
Educatrice comunità Eldorado - Giovanna Bernardi