L'adolescenza è un'età difficile a causa delle importanti trasformazioni in atto nel corpo, nella psiche e nel mondo emotivo. Tali trasformazioni rendono la precedente conoscenza di sé precaria tanto da rendere questo periodo molto complesso. Anche il surplus di energia che i ragazzi si trovano a gestire in questo periodo fa credere loro che tutto sia possibile, rendendo l'azione educativa molto impegnativa da seguire per il caregiver, perché è necessario tentare di bilanciare quelle indicazioni che rendono possibile agli adolescenti proseguire il viaggio in autonomia con la necessità di contenerli all'interno di binari prestabiliti.
Dare una direzione infatti non significa essere coercitivi e togliere loro il personale modo di vivere un po’ sognatore, ma provare a suggerire un senso al loro agire, un senso che per loro spesso è difficile trovare. L'adulto ha il compito di aiutare a dare significato ad alcuni vissuti lasciando però spazio al fare esperienza, ovvero all'agire, dato che è doveroso lasciarli più liberi, seppur proteggendoli. Come ci si deve approcciare ai ragazzi adolescenti e cosa significa aiutarli a darsi una forma? Purtroppo spesso si parte da una errata concezione di questo periodo della vita intendendolo solo come una preparazione alla vita adulta. Niente di male. È che talvolta chi educa a questo fine ha una visione piuttosto negativa della vita, percependo il mondo come un luogo pericoloso e con un sistema sociale fallimentare, mosso solo dal consumismo e dalle leggi economiche. Eliminare completamente la speranza nell'umanità significa educare solamente a difendersi da tutto ciò e a far diventare l'adolescente impaurito del mondo. Questa età, pur presentando molte strade aperte, è caratterizzata dal tentativo e dall'inciampo, situazioni che dovrebbero essere incorraggiate dalle educatrici/educatori in quanto è proprio dal fare esperienza di sé che prende forma il nostro mondo interiore. È quindi fondamentale sostenere il tentativo di indipendenza e non ridurre l'intervento educativo ad un semplice e banale “far rigar dritto”. Far rigare dritto nasce da una morale bigotta che educa mascherando la complessità e non permettendo alle persone la libertà di conoscersi. Questa morale pensa di reprimere i desideri e le pulsioni poiché, in questo modo, si riconduce una persona alla “buona vita” fondata più sulle apparenze che sulla sostanza dell'essere. Nell'adolescenza l'educazione come imposizione può far nascere un serio conflitto con l'autorità adulta, spesso legata a schemi mentali rigidi e immutabili. Per questo alcuni caregiver vedono molto spesso nel comportamento dei ragazzi esaltazioni inutili da correggere, impedendone l'azione o etichettandoli con pregiudizi aridi. Questa tipologia di caregiver ritiene che al giovane non serva investire energia e fare esperienza, ma solo ascoltare chi fornisce consigli.
Nella relazione con gli adolescenti è invece necessario spingerli a fare esperienza, anche sbagliando perché attraverso la caduta si impara a rialzarsi e a diventare persone più forti. È importante far comprendere che è proprio quel tentativo di autonomia la vittoria; è proprio questa propensione al tentativo che bisogna portare con sé nella vita. Così non si sviluppano rammarichi per le occasioni perdute, né rabbia e delusione per non essere stati sostenuti. I ragazzi adolescenti hanno una forte potenza creativa e un'espansione alla vita che deve essere canalizzata, non domata o controllata. Molto spesso, purtroppo, si ritiene che il fine educativo sia il raggiungimento del “buon comportamento” legato semplicemente al rispetto delle regole. Niente di più insensato e limitante, soprattutto se gli adolescenti di cui ci dobbiamo occupare vivono in una comunità. Questi hanno avuto infatti una vita già difficile, con poche relazioni sane e talvolta con abusi; per altri ragazzi la vita in famiglia è stata caratterizzata da condizioni precarie, sia economiche che psicologiche. Proprio per questi vissuti è strettamente necessario lavorare con strumenti che vanno al di là della regola e dell'imposizione su quel “crepaccio liscio e innevato” pronto a risucchiarli. È in questo spazio che si gioca infatti la relazione con l'adulto di riferimento: è per ciò preferibile agire con un atto di accoglimento, di sensibilità piuttosto che attraverso l'obbedienza. La regola più ferrea “se fai questo meriti quest'altro”, all'interno di un processo di umanizzazione, si rivela distruttiva poichè spesso i giovani non sono in grado di dare quello che si chiede loro. Inoltre una persona non dovrebbe essere giudicata e valutata per quello che fa. Sotto un apparente principio pochi osano confutare il vero senso. L'adulto non dovrebbe credere che l'educazione sia limitata al travaso di principi etici. Si dovrebbe invece dare più spazio ad un processo di umanizzazione che permetta ad entrambe le parti di manifestarsi liberamente, invece di cercare di ammaestrare il più debole alle regole prestabilite. Questa modalità educativa è servita e serve solo a controllare le persone che invece hanno bisogno di essere vere e accolte per quello che sono; è solo lasciandole libere nel loro manifestarsi e riconoscendole per quello che sono, che le si può aiutare a darsi una forma.
Educatrice Comunità Eldorado Giovanna Bernardi